Si fa sempre più vicino il momento del rialzo dei tassi della Federal Reserve. L’appuntamento con il primo ritocco in avanti dei tassi di riferimento dell’istituto monetario statunitense manca dal 2006, e mai come in questo momento la decisione di un incremento dall’attuale quota minima sembra essere prossimo alla realtà. Tuttavia, non tutto il quadro finanziario internazionale sembra essere propenso ad accompagnare i tassi americani verso una simile, naturale strada.

La volatilità negli ultimi giorni ha infatti compiuto un ruolo da protagonista nell’influenzare i mercati azionari di tutto il mondo, con i listini in particolare sofferenza proprio a causa degli ottimi dati macroeconomici provenienti dagli Stati Uniti e, in particolar modo, dell’ultimo report sull’occupazione statunitense di ottobre (il Paese è oramai non distante dalla piena occupazione).

Proprio tali dati positivi stanno però appesantendo le Borse, poiché se da una parte il dato sul lavoro conferma i buoni propositi di sviluppo dell’economia americana, alimentando le attese del rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nella riunione di dicembre, dall’altra parte un rincaro del costo del denaro avrebbe come effetto quello di ridurre la liquidità sui mercati e le compravendite di titoli.

Ad ogni modo, la strada del primo rialzo dei tassi dal 2006 sembra essere tracciata, ma non sono nemmeno escluse possibili sorprese. La stessa numero 1 della Fed, Janet Yellen, ha precisato in merito che “la crisi finanziaria globale ha alterato il modo di pensare la politica monetaria”. Intanto, la Fmi, alla vigilia del G20 in agenda da domenica in Turchia, ha invitato la FED a essere più prudente, rinviando pertanto la scelta di rialzare il tasso a quando l’inflazione avrà toccato livelli più consoni. Da questa parte dell’Oceano la BCE sta intanto pensando di rimodulare il proprio quantitative easing, ampliando il programma di acquisto di asset.