La parola spread è la più utilizzata nelle pubblicità degli istituti di credito quando “vendono” un mutuo. Non tutti conoscono il significato della “magica parolina”, eppure è un punto decisivo per comprendere la convenienza di un prestito. Lo spread è il ricarico che la banca applica sul costo del denaro. In pratica, la banca acquista un bene all'ingrosso (in questo caso: denaro) e lo rivende al consumatore finale a un prezzo maggiorato, applicando quello che viene chiamato “spread”.

Lo spread contempla anche una quota di contratti derivati con cui la banca copre il prestito dalle fluttuazioni dei tassi e dai rischi creditizi.

L'incidenza di questi contratti di copertura aiuta anche a capire perché nel tempo lo spread:

1) varia in relazione al rating (giudizio sulla capacità di pagare con regolarità le rate) che la banca attribuisce al cliente (più è alto il rating minore è lo spread);

2) è il più pubblicizzato dalle banche quando offrono un mutuo, ma non è l'unica voce di costo che incide sul TAEG.

Lo spread non è l'unico costo del mutuo anzi, bisogna porre molta attenzione quando vengono proposti degli “spread” scontatissimi: dietro alcune promozioni si possono nascondere dei falsi risparmi che poi si traducono in altre voci occulte di costo, più o meno nascoste. L'unico vero parametro da considerare quando si stipula un mutuo è il TAEG nel modello ESIS.

Quando lo spread è da considerarsi caro? Purtroppo non c'è una percentuale standard poiché dipende dalle condizioni macroeconomiche. La regola generale, supportata dalle statistiche sui mutui erogati negli ultimi 10 anni in Italia, è che uno spread può essere considerato "ottimo" se inferiore all'1%. Diventare potenzialmente allarmante, quando supera il  2%.

Il mutuatario intelligente è in grado di "intascare" un consistente "guadagno" selezionando la banca che offre lo spread migliore rispetto a quello mediamente offerto sul mercato. E’ necessario tenere ben presente che ogni costo applicato sul mutuo va considerato tenendo conto dell'effetto finale che avrà a fine mutuo, e non di quello mensile che avrà sulla singola rata.

Chi sceglie un mutuo a tasso variabile raramente si concentra su quale Euribor (1, 3 o 6 mesi) viene utilizzato dall'istituto per il calcolo delle rate. Negli ultimi 10 anni l’Euribor è stato più basso di 13 punti base. Allora, perché faticare tanto per farsi abbassare lo spread quando poi si spendono anche fino a 20-30 punti base in più per essersi fatti sfuggire la "contrattazione" sull'Euribor? Ergo:

• l'aspirante mutuatario a tasso variabile deve ottenere un mutuo con Euribor a 1 mese;

• il mutuatario non deve mai stancarsi mai di contrattare: la fatica di farsi ridurre lo spread può essere totalmente annullata da un'altra qualsiasi disattenzione.